venerdì 3 gennaio 2025

Addetti nelle imprese multinazionali estere nelle regioni italiane

 

Gli addetti nelle multinazionali estere operanti nelle regioni italiane costituiscono il numero di persone impiegate da gruppi multinazionali esteri attivi nelle diverse regioni italiane. È un indicatore chiave per analizzare l'impatto economico e occupazionale delle imprese multinazionali sul territorio nazionale. Questa variabile fornisce una misura quantitativa che consente di valutare la capacità delle regioni di attrarre e mantenere investimenti esteri, oltre a riflettere il livello di integrazione delle regioni italiane nelle dinamiche economiche globali.

La Lombardia si conferma come la regione leader per quanto riguarda la presenza di gruppi multinazionali esteri e il numero di addetti, con 559.927 persone occupate, rappresentando il 33,25% del totale nazionale. Questo dato sottolinea l'importanza della Lombardia come hub economico e industriale dell'Italia. La concentrazione delle multinazionali in Lombardia è attribuibile a diversi fattori: la presenza di infrastrutture avanzate, come aeroporti e collegamenti ferroviari di alta velocità; un sistema universitario e di ricerca eccellente; e un ecosistema imprenditoriale favorevole, supportato dalla città di Milano, centro finanziario e commerciale di livello internazionale. La Lombardia non solo domina il panorama nazionale, ma agisce anche come un punto di attrazione per investimenti esteri, rafforzando ulteriormente la sua posizione di primo piano. Subito dopo, il Piemonte si colloca al secondo posto con 183.054 addetti (10,87% del totale). La regione, nota per il suo forte settore manifatturiero, automobilistico e tecnologico, è sede di grandi aziende come Stellantis e di numerose altre industrie internazionali. Torino, in particolare, funge da centro di innovazione e sviluppo tecnologico, contribuendo significativamente alla capacità della regione di attrarre multinazionali. Questo colloca il Piemonte in una posizione strategica per gli investimenti esteri, benché il divario con la Lombardia sia significativo, evidenziando la concentrazione asimmetrica di attività economiche tra le regioni italiane. Il Lazio, con 169.754 addetti (10,08%), segue al terzo posto. La regione beneficia della presenza della capitale, Roma, che funge da polo amministrativo, culturale e diplomatico. La concentrazione di multinazionali nel Lazio è in parte attribuibile alla presenza di organizzazioni internazionali, ambasciate e un settore dei servizi fortemente sviluppato. Tuttavia, il Lazio presenta una diversità economica inferiore rispetto al nord Italia, dove prevale una combinazione più equilibrata tra industria e servizi. Questo limita in parte la competitività della regione rispetto a poli come Lombardia e Piemonte. Il Veneto e l’Emilia-Romagna occupano rispettivamente il quarto e quinto posto, con 160.508 e 146.011 addetti, pari al 9,53% e all'8,67% del totale. Queste regioni sono notoriamente riconosciute per la loro capacità industriale e per il loro modello economico basato su piccole e medie imprese. Il Veneto, con città come Verona e Vicenza, è un importante polo di esportazioni e manifattura, mentre l’Emilia-Romagna combina eccellenza nel settore agroalimentare, automobilistico e biomedicale. Entrambe le regioni si distinguono per una distribuzione diffusa della ricchezza e un forte senso di identità imprenditoriale, che contribuiscono a renderle attrattive per le multinazionali. La Toscana, con 94.761 addetti (5,63%), rappresenta una regione con un'economia diversificata che spazia dal turismo alla moda e al settore farmaceutico. Firenze, Pisa e Siena sono tra i centri che attraggono multinazionali, non solo per la loro storia e cultura, ma anche per l'eccellenza nella ricerca scientifica e universitaria. Al di fuori delle prime sei regioni, si osserva una significativa riduzione nella concentrazione di multinazionali. Liguria, Campania, Puglia, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo, pur avendo una certa presenza di multinazionali, si collocano in una fascia intermedia, con percentuali che variano dal 3,27% al 2,08%. Queste regioni, pur contribuendo all'economia nazionale, non dispongono dello stesso livello di infrastrutture, innovazione o forza lavoro qualificata che caratterizza le regioni settentrionali. La Campania, per esempio, nonostante una popolazione numerosa e un potenziale significativo, fatica ad attrarre multinazionali a causa di problematiche legate a infrastrutture carenti e complessità burocratiche. Le regioni meridionali e insulari, come Sicilia, Sardegna, Calabria e Basilicata, insieme alle regioni più piccole come Molise e Valle d’Aosta, registrano percentuali minime, inferiori al 2% del totale nazionale. Questa disparità mette in evidenza il divario economico tra il nord e il sud Italia, non solo in termini di presenza di multinazionali, ma anche nella distribuzione degli investimenti esteri. Le regioni del sud sono spesso penalizzate da infrastrutture inadeguate, livelli di istruzione inferiori e un contesto imprenditoriale meno sviluppato. Tuttavia, alcune di queste regioni, come la Sicilia e la Sardegna, potrebbero beneficiare in futuro di investimenti strategici legati al turismo e alle energie rinnovabili, settori in crescita a livello globale. Analizzando il dato complessivo, si osserva che le prime cinque regioni (Lombardia, Piemonte, Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna) concentrano quasi il 72,39% degli addetti nei gruppi multinazionali esteri, mentre il restante 27,61% è distribuito tra le altre 15 regioni. Questo squilibrio riflette un divario strutturale che si traduce in una maggiore competitività delle regioni settentrionali, sostenute da ecosistemi favorevoli per le multinazionali. Per migliorare questa distribuzione, sarebbe necessario implementare politiche mirate a incentivare gli investimenti esteri nelle regioni meno sviluppate, migliorando infrastrutture, semplificando la burocrazia e promuovendo programmi di formazione per la forza lavoro locale. In conclusione, i dati sottolineano l'importanza strategica delle regioni settentrionali nell'attrarre multinazionali e il ruolo cruciale della Lombardia come motore economico del paese. Tuttavia, l'ampio divario tra nord e sud evidenzia la necessità di interventi strutturali per migliorare la competitività delle regioni meridionali e garantire una distribuzione più equa degli investimenti esteri. Rafforzare le infrastrutture, promuovere la formazione e attrarre investimenti innovativi saranno fattori chiave per ridurre questa disparità e favorire una crescita sostenibile ed equilibrata in tutto il territorio nazionale.

Gruppi multinazionali esteri

Regioni

Addetti

%

Concentrazione

Lombardia

559.927

33,25

33,25

Piemonte

183.054

10,87

44,11

Lazio

169.754

10,08

54,19

Veneto

160.508

9,53

63,72

Emilia-Romagna

146.011

8,67

72,39

Toscana

94.761

5,63

78,02

Liguria

55.092

3,27

81,29

Campania

53.551

3,18

84,47

Puglia

44.355

2,63

87,10

Friuli-Venezia Giulia

39.722

2,36

89,46

Abruzzo

35.095

2,08

91,55

Sicilia

32.931

1,96

93,50

Trentino-Alto Adige

29.429

1,75

95,25

Marche

26.114

1,55

96,80

Sardegna

17.694

1,05

97,85

Umbria

12.014

0,71

98,56

Basilicata

11.215

0,67

99,23

Calabria

5.885

0,35

99,58

Molise

4.530

0,27

99,85

Valle d'Aosta

2.581

0,15

100,00

Totale

1.684.225

100

 

 

Clusterizzazione con algoritmo k-Means ottimizzato con il metodo di Elbow.  La clusterizzazione delle regioni italiane con k=3evidenzia una chiara segmentazione geografica ed economica, basata sul numero di addetti nei gruppi multinazionali esteri e sulla relativa concentrazione. I risultati forniscono interessanti spunti sulle caratteristiche e le disparità economiche tra le regioni italiane.

  • ·         Cluster 1: La Lombardia costituisce un cluster a sé stante. Questa regione domina nettamente il panorama nazionale con un numero di addetti che supera di gran lunga qualsiasi altra regione. La Lombardia ospita infatti 559.927 addetti, rappresentando oltre il 33% del totale nazionale. Milano, capitale economica del Paese, agisce come un catalizzatore per gli investimenti esteri grazie alla presenza di infrastrutture avanzate, un sistema imprenditoriale maturo, un'alta concentrazione di multinazionali e un contesto di innovazione tecnologica. Il fatto che la Lombardia formi un cluster isolato dimostra il suo peso economico e il divario con il resto del Paese.
  • ·         Cluster 2: Questo cluster comprende regioni come Piemonte, Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna. Queste aree, pur non raggiungendo i livelli della Lombardia, rappresentano poli economici significativi. Insieme, queste quattro regioni totalizzano un alto numero di addetti e mostrano una diversificazione economica che le rende attrattive per le multinazionali. Il Piemonte e il Veneto si distinguono per la loro forza nel settore manifatturiero e industriale; il Lazio, con Roma, beneficia del ruolo di capitale amministrativa e culturale; mentre l’Emilia-Romagna è nota per il settore agroalimentare e biomedicale. Questo cluster rappresenta il "cuore industriale" dell'Italia, contribuendo in modo significativo al PIL nazionale e mostrando un equilibrio tra industria e servizi.
  • ·         Cluster 0: Il terzo cluster è il più ampio e include 15 regioni, tra cui Toscana, Liguria, Campania, Puglia e altre regioni meridionali e insulari. Queste regioni, pur avendo una presenza di multinazionali, mostrano una concentrazione molto inferiore rispetto ai cluster precedenti. La Toscana, ad esempio, ha un'industria diversificata, ma non può competere con le capacità industriali e infrastrutturali delle regioni del nord. Le regioni del sud, come Campania e Puglia, sono penalizzate da infrastrutture insufficienti, burocrazia complessa e livelli inferiori di innovazione, che riducono la loro capacità di attrarre multinazionali.

I risultati mettono in evidenza una forte disparità tra nord e sud Italia. La Lombardia si distingue come un caso unico, mentre le regioni del centro-nord rappresentano il principale polo industriale del Paese. Le regioni del sud richiedono interventi mirati per migliorare la loro competitività, attraverso investimenti in infrastrutture, formazione e incentivi economici. Questa analisi sottolinea l'importanza di politiche regionali differenziate per affrontare le disuguaglianze e promuovere una crescita economica equilibrata in tutto il territorio nazionale.

 


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