L’Istat
calcola il costo del lavoro delle multinazionali italiane nelle regioni
italiane. I dati fanno riferimento al 2022.
L’analisi dei dati sul costo del lavoro nelle
regioni italiane offre un’interessante panoramica delle disparità economiche e
delle diverse dinamiche territoriali in termini di produttività e capacità di
generare valore aggiunto e fatturato. Il costo del lavoro rappresenta una
variabile cruciale, poiché riflette sia il livello di sviluppo economico che
l’investimento nelle risorse umane. Le regioni del Nord, come Lombardia, Veneto
ed Emilia-Romagna, dominano in termini di costo totale del lavoro, contribuendo
in modo significativo al PIL nazionale e rappresentando il fulcro delle
attività economiche avanzate. La Lombardia, con un costo del lavoro totale di
oltre 26 miliardi di euro, guida il gruppo. Questo elevato investimento si
traduce in un rapporto di valore aggiunto per costo del lavoro pari a 2,03, un
indicatore di efficienza economica che sottolinea la capacità della regione di
generare ricchezza a partire dall’input lavorativo. Ancora più impressionante è
il rapporto tra fatturato e costo del lavoro, che supera il 1000%, indicando un
sistema economico altamente produttivo e orientato all’export. Il Veneto segue
con un costo del lavoro di 11,29 miliardi di euro e un rapporto di valore
aggiunto di 1,80. Sebbene questo valore sia leggermente inferiore rispetto alla
Lombardia, il Veneto mostra un rapporto tra fatturato e costo del lavoro di
830,92%, un dato che riflette la forza dei suoi distretti industriali, in
particolare nei settori manifatturiero e agroalimentare. L’Emilia-Romagna, con
un costo del lavoro pari a 13,45 miliardi di euro, si distingue per un rapporto
di valore aggiunto di 1,87 e un rapporto fatturato-costo del lavoro di 848,49%,
dimostrando una performance economica solida grazie a un’industria
diversificata e una forte innovazione tecnologica. Il Lazio si posiziona come
un caso unico nel panorama italiano. Con un costo del lavoro di 9,94 miliardi
di euro, la regione presenta il rapporto più elevato di valore aggiunto per
costo del lavoro (2,57) e un impressionante rapporto tra fatturato e costo del
lavoro di 2899,18%. Questi numeri eccezionali sono probabilmente influenzati
dalla presenza di Roma, che concentra attività legate ai servizi avanzati, alla
finanza e all’amministrazione pubblica. Questo alto livello di produttività,
tuttavia, potrebbe essere meno diffuso nelle aree regionali al di fuori della
capitale. Nel Centro, regioni come Toscana, Umbria e Marche mostrano una
performance economica più contenuta rispetto al Nord. La Toscana, con un costo
del lavoro di 5,09 miliardi di euro, registra un rapporto di valore aggiunto di
2,11 e un rapporto fatturato-costo del lavoro di 940,88%. Questo riflette la
diversificazione economica della regione, che spazia dal turismo all’industria
di lusso e alla produzione vinicola. L’Umbria e le Marche, con rapporti di
valore aggiunto rispettivamente di 1,77 e 1,72, evidenziano una produttività inferiore,
legata probabilmente alla minore densità di industrie avanzate e alle
dimensioni ridotte delle loro economie. Le regioni del Sud e delle isole
presentano valori più bassi, sebbene con alcune eccezioni positive. La Puglia,
con un costo del lavoro di 2,24 miliardi di euro, mostra un rapporto
fatturato-costo del lavoro di 1227,37%, il più alto tra le regioni meridionali,
a indicare una certa capacità di generare ricchezza, probabilmente grazie a
settori come l’agricoltura e l’energia. La Basilicata si distingue per un
rapporto di valore aggiunto pari a 2,75, il più alto tra tutte le regioni,
riflettendo una buona efficienza economica, anche se il costo totale del lavoro
rimane limitato a 422 milioni di euro. La Sardegna, con un rapporto
fatturato-costo del lavoro di 1338,22%, evidenzia una forte dipendenza da
settori come il turismo e l’energia, che contribuiscono in modo significativo
alla generazione di valore economico. Le regioni più piccole, come Valle
d’Aosta e Molise, mostrano risultati misti. La Valle d’Aosta, con un costo del
lavoro di 177 milioni di euro, registra un rapporto di valore aggiunto di 2,04
e un rapporto fatturato-costo del lavoro di 791,42%, segnalando una buona
performance per una regione con un’economia limitata. Il Molise, con un
rapporto fatturato-costo del lavoro di 1181,48%, sorprende positivamente,
dimostrando una capacità di generare fatturato superiore a molte regioni più
grandi. La Calabria e la Sicilia evidenziano sfide significative. La Calabria,
con un costo del lavoro di 726 milioni di euro, mostra rapporti di valore
aggiunto (1,92) e fatturato-costo del lavoro (675,20%) inferiori alla media,
riflettendo problemi strutturali come la carenza di infrastrutture e la
limitata capacità di attrarre investimenti. La Sicilia, pur avendo un rapporto
di valore aggiunto di 2,10, registra un rapporto fatturato-costo del lavoro di
836,18%, segnalando che l’economia della regione potrebbe beneficiare di
politiche mirate per migliorare la produttività e attrarre nuovi capitali.
Clusterizzazione con
algoritmo k-Means ottimizzato con il Metodo di Elbow. Di seguito presentiamo
una clusterizzazione con algoritmo k-Means ottimizzato con il Metodo di Elbow.
I dati mostrano che il numero ottimale di cluster è k=3. La clusterizzazione
con evidenzia le dinamiche economiche distintive delle regioni italiane,
raggruppandole in tre cluster sulla base del costo del lavoro e delle metriche
economiche correlate. Questa suddivisione riflette le disparità territoriali e
il diverso grado di sviluppo industriale e produttivo delle aree del Paese.
Il Cluster 0, composto da
Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, rappresenta il fulcro economico
dell’Italia. Queste regioni sono caratterizzate da un costo del lavoro elevato,
sia in termini assoluti che per addetto, associato a una capacità eccezionale
di generare valore aggiunto e fatturato. La Lombardia guida il cluster, con
Milano come centro finanziario e industriale di primaria importanza. Veneto ed
Emilia-Romagna seguono con economie altamente competitive, grazie alla presenza
di distretti industriali avanzati e a una forte tradizione manifatturiera. Il
Piemonte, con una combinazione di industrie tecnologiche e tradizionali,
rafforza il profilo di questo cluster. Il rapporto tra valore aggiunto e costo
del lavoro, un indicatore di efficienza economica, è significativamente alto in
tutte queste regioni, riflettendo un sistema produttivo maturo e orientato
all’innovazione. Questo cluster rappresenta il motore economico del Paese,
contribuendo in modo sproporzionato al PIL nazionale e alla competitività
globale dell’Italia.
Il Cluster 1 raggruppa un
insieme eterogeneo di regioni, tra cui Valle d’Aosta, Liguria, Trentino-Alto
Adige, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise,
Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Questo cluster
include regioni con un’ampia gamma di caratteristiche economiche, ma accomunate
da un costo del lavoro relativamente più basso rispetto al Cluster 0 e da una
minore capacità di generare valore aggiunto e fatturato. Le regioni
settentrionali come Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia si distinguono
per livelli di produttività superiori alla media, grazie a settori
specializzati come il turismo di lusso e la meccanica di precisione. Tuttavia,
le regioni del Centro-Sud e delle isole, come Campania, Calabria e Sicilia,
evidenziano sfide significative legate a una minore densità industriale,
carenze infrastrutturali e difficoltà nell’attrarre investimenti. Queste
regioni hanno rapporti di valore aggiunto per costo del lavoro e fatturato per
costo del lavoro inferiori rispetto al Cluster 0, indicando una produttività
più bassa. Le eccezioni positive, come la Puglia e la Sardegna, dimostrano che
investimenti mirati e politiche di sviluppo possono produrre risultati
significativi anche in contesti meno avanzati.
Il Cluster 2, rappresentato
esclusivamente dal Lazio, riflette l’unicità economica di questa regione. Con
Roma come capitale e centro amministrativo, il Lazio mostra valori
straordinariamente elevati per rapporto tra valore aggiunto e costo del lavoro,
così come per fatturato per costo del lavoro. Questi indicatori sottolineano il
ruolo di Roma come hub per i servizi avanzati, la finanza e l’amministrazione
pubblica. Il Lazio è chiaramente distinto dagli altri cluster, grazie alla
concentrazione di attività economiche ad alta intensità di conoscenza, ma questa
centralizzazione potrebbe mascherare una maggiore eterogeneità economica
all’interno della regione.
I dati mostrano il seguente ordinamento: C0>C2>C1.
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