lunedì 6 gennaio 2025

Il costo del lavoro delle multinazionali italiane nelle regioni

 

L’Istat calcola il costo del lavoro delle multinazionali italiane nelle regioni italiane. I dati fanno riferimento al 2022.

L’analisi dei dati sul costo del lavoro nelle regioni italiane offre un’interessante panoramica delle disparità economiche e delle diverse dinamiche territoriali in termini di produttività e capacità di generare valore aggiunto e fatturato. Il costo del lavoro rappresenta una variabile cruciale, poiché riflette sia il livello di sviluppo economico che l’investimento nelle risorse umane. Le regioni del Nord, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, dominano in termini di costo totale del lavoro, contribuendo in modo significativo al PIL nazionale e rappresentando il fulcro delle attività economiche avanzate. La Lombardia, con un costo del lavoro totale di oltre 26 miliardi di euro, guida il gruppo. Questo elevato investimento si traduce in un rapporto di valore aggiunto per costo del lavoro pari a 2,03, un indicatore di efficienza economica che sottolinea la capacità della regione di generare ricchezza a partire dall’input lavorativo. Ancora più impressionante è il rapporto tra fatturato e costo del lavoro, che supera il 1000%, indicando un sistema economico altamente produttivo e orientato all’export. Il Veneto segue con un costo del lavoro di 11,29 miliardi di euro e un rapporto di valore aggiunto di 1,80. Sebbene questo valore sia leggermente inferiore rispetto alla Lombardia, il Veneto mostra un rapporto tra fatturato e costo del lavoro di 830,92%, un dato che riflette la forza dei suoi distretti industriali, in particolare nei settori manifatturiero e agroalimentare. L’Emilia-Romagna, con un costo del lavoro pari a 13,45 miliardi di euro, si distingue per un rapporto di valore aggiunto di 1,87 e un rapporto fatturato-costo del lavoro di 848,49%, dimostrando una performance economica solida grazie a un’industria diversificata e una forte innovazione tecnologica. Il Lazio si posiziona come un caso unico nel panorama italiano. Con un costo del lavoro di 9,94 miliardi di euro, la regione presenta il rapporto più elevato di valore aggiunto per costo del lavoro (2,57) e un impressionante rapporto tra fatturato e costo del lavoro di 2899,18%. Questi numeri eccezionali sono probabilmente influenzati dalla presenza di Roma, che concentra attività legate ai servizi avanzati, alla finanza e all’amministrazione pubblica. Questo alto livello di produttività, tuttavia, potrebbe essere meno diffuso nelle aree regionali al di fuori della capitale. Nel Centro, regioni come Toscana, Umbria e Marche mostrano una performance economica più contenuta rispetto al Nord. La Toscana, con un costo del lavoro di 5,09 miliardi di euro, registra un rapporto di valore aggiunto di 2,11 e un rapporto fatturato-costo del lavoro di 940,88%. Questo riflette la diversificazione economica della regione, che spazia dal turismo all’industria di lusso e alla produzione vinicola. L’Umbria e le Marche, con rapporti di valore aggiunto rispettivamente di 1,77 e 1,72, evidenziano una produttività inferiore, legata probabilmente alla minore densità di industrie avanzate e alle dimensioni ridotte delle loro economie. Le regioni del Sud e delle isole presentano valori più bassi, sebbene con alcune eccezioni positive. La Puglia, con un costo del lavoro di 2,24 miliardi di euro, mostra un rapporto fatturato-costo del lavoro di 1227,37%, il più alto tra le regioni meridionali, a indicare una certa capacità di generare ricchezza, probabilmente grazie a settori come l’agricoltura e l’energia. La Basilicata si distingue per un rapporto di valore aggiunto pari a 2,75, il più alto tra tutte le regioni, riflettendo una buona efficienza economica, anche se il costo totale del lavoro rimane limitato a 422 milioni di euro. La Sardegna, con un rapporto fatturato-costo del lavoro di 1338,22%, evidenzia una forte dipendenza da settori come il turismo e l’energia, che contribuiscono in modo significativo alla generazione di valore economico. Le regioni più piccole, come Valle d’Aosta e Molise, mostrano risultati misti. La Valle d’Aosta, con un costo del lavoro di 177 milioni di euro, registra un rapporto di valore aggiunto di 2,04 e un rapporto fatturato-costo del lavoro di 791,42%, segnalando una buona performance per una regione con un’economia limitata. Il Molise, con un rapporto fatturato-costo del lavoro di 1181,48%, sorprende positivamente, dimostrando una capacità di generare fatturato superiore a molte regioni più grandi. La Calabria e la Sicilia evidenziano sfide significative. La Calabria, con un costo del lavoro di 726 milioni di euro, mostra rapporti di valore aggiunto (1,92) e fatturato-costo del lavoro (675,20%) inferiori alla media, riflettendo problemi strutturali come la carenza di infrastrutture e la limitata capacità di attrarre investimenti. La Sicilia, pur avendo un rapporto di valore aggiunto di 2,10, registra un rapporto fatturato-costo del lavoro di 836,18%, segnalando che l’economia della regione potrebbe beneficiare di politiche mirate per migliorare la produttività e attrarre nuovi capitali.





Clusterizzazione con algoritmo k-Means ottimizzato con il Metodo di Elbow. Di seguito presentiamo una clusterizzazione con algoritmo k-Means ottimizzato con il Metodo di Elbow. I dati mostrano che il numero ottimale di cluster è k=3. La clusterizzazione con k=3 evidenzia le dinamiche economiche distintive delle regioni italiane, raggruppandole in tre cluster sulla base del costo del lavoro e delle metriche economiche correlate. Questa suddivisione riflette le disparità territoriali e il diverso grado di sviluppo industriale e produttivo delle aree del Paese.

Il Cluster 0, composto da Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, rappresenta il fulcro economico dell’Italia. Queste regioni sono caratterizzate da un costo del lavoro elevato, sia in termini assoluti che per addetto, associato a una capacità eccezionale di generare valore aggiunto e fatturato. La Lombardia guida il cluster, con Milano come centro finanziario e industriale di primaria importanza. Veneto ed Emilia-Romagna seguono con economie altamente competitive, grazie alla presenza di distretti industriali avanzati e a una forte tradizione manifatturiera. Il Piemonte, con una combinazione di industrie tecnologiche e tradizionali, rafforza il profilo di questo cluster. Il rapporto tra valore aggiunto e costo del lavoro, un indicatore di efficienza economica, è significativamente alto in tutte queste regioni, riflettendo un sistema produttivo maturo e orientato all’innovazione. Questo cluster rappresenta il motore economico del Paese, contribuendo in modo sproporzionato al PIL nazionale e alla competitività globale dell’Italia.

Il Cluster 1 raggruppa un insieme eterogeneo di regioni, tra cui Valle d’Aosta, Liguria, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Questo cluster include regioni con un’ampia gamma di caratteristiche economiche, ma accomunate da un costo del lavoro relativamente più basso rispetto al Cluster 0 e da una minore capacità di generare valore aggiunto e fatturato. Le regioni settentrionali come Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia si distinguono per livelli di produttività superiori alla media, grazie a settori specializzati come il turismo di lusso e la meccanica di precisione. Tuttavia, le regioni del Centro-Sud e delle isole, come Campania, Calabria e Sicilia, evidenziano sfide significative legate a una minore densità industriale, carenze infrastrutturali e difficoltà nell’attrarre investimenti. Queste regioni hanno rapporti di valore aggiunto per costo del lavoro e fatturato per costo del lavoro inferiori rispetto al Cluster 0, indicando una produttività più bassa. Le eccezioni positive, come la Puglia e la Sardegna, dimostrano che investimenti mirati e politiche di sviluppo possono produrre risultati significativi anche in contesti meno avanzati.

Il Cluster 2, rappresentato esclusivamente dal Lazio, riflette l’unicità economica di questa regione. Con Roma come capitale e centro amministrativo, il Lazio mostra valori straordinariamente elevati per rapporto tra valore aggiunto e costo del lavoro, così come per fatturato per costo del lavoro. Questi indicatori sottolineano il ruolo di Roma come hub per i servizi avanzati, la finanza e l’amministrazione pubblica. Il Lazio è chiaramente distinto dagli altri cluster, grazie alla concentrazione di attività economiche ad alta intensità di conoscenza, ma questa centralizzazione potrebbe mascherare una maggiore eterogeneità economica all’interno della regione.

I dati mostrano il seguente ordinamento: C0>C2>C1.






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