martedì 7 gennaio 2025

Il valore aggiunto prodotto dalle multinazionali italiane nelle regioni

 

L’Istat calcola il valore aggiunto prodotto dalle multinazionali italiane nelle regioni. I dati fanno riferimento al 2022.

Le multinazionali italiane rappresentano una componente fondamentale dell'economia del Paese, con una distribuzione geografica e una produttività variabile che riflette le specificità socioeconomiche di ciascuna regione. Analizzando i principali indicatori economici regionali, emerge un quadro complesso, caratterizzato da significativi divari tra le aree del Nord, Centro e Sud Italia. Questa analisi considera in dettaglio il valore aggiunto complessivo, il valore aggiunto per unità locale, per addetto, e i rapporti con le retribuzioni e i costi del lavoro. Il valore aggiunto complessivo è uno degli indicatori più significativi per misurare l'impatto economico delle multinazionali sul territorio. La Lombardia si posiziona nettamente al vertice con un valore aggiunto di 52,87 miliardi di euro, evidenziando la sua capacità di attrarre investimenti esteri e sostenere una solida base produttiva. Seguono il Lazio con 25,56 miliardi di euro e l'Emilia-Romagna con 25,13 miliardi, entrambe regioni che ospitano numerose aziende multinazionali operanti in settori strategici quali i servizi avanzati, il manifatturiero e le tecnologie innovative. Al contrario, regioni come Valle d'Aosta e Molise si collocano agli estremi inferiori della classifica, rispettivamente con 362 milioni di euro e 321 milioni di euro. Questi dati riflettono la limitata dimensione economica di queste aree e la loro minore attrattività per le multinazionali. Passando all'analisi del valore aggiunto per unità locale, il Lazio si distingue come la regione con la maggiore produttività, registrando 4.378.806,78 euro per unità locale. Questo dato testimonia l'elevata densità produttiva delle multinazionali presenti nella regione, in gran parte concentrate nella capitale Roma, che funge da polo attrattivo per attività economiche di alto valore aggiunto, come quelle legate ai servizi finanziari, consulenza e amministrazione pubblica. L'Emilia-Romagna e la Lombardia seguono con valori rispettivamente di 2.788.068,89 euro e 2.736.311,27 euro per unità locale, riflettendo anch'esse un'elevata efficienza produttiva. In fondo alla classifica si trova il Molise, con appena 773.865,06 euro per unità locale, segnalando una minore capacità di concentrare il valore aggiunto in poche e strategiche attività. Un altro indicatore cruciale è il valore aggiunto per addetto, che misura l'efficienza economica in termini di produttività individuale. Anche in questo caso, il Lazio si posiziona al primo posto con 157.021,48 euro per addetto, dimostrando come le multinazionali presenti nella regione abbiano una struttura produttiva fortemente orientata alla creazione di valore tramite una forza lavoro qualificata e specializzata. La Basilicata si distingue al secondo posto con 121.378,74 euro per addetto, un dato sorprendente che potrebbe essere attribuito alla presenza di settori specifici ad alta intensità di capitale, come l’automotive e l’estrazione di risorse naturali. La Lombardia, con 115.163,84 euro per addetto, conferma il suo ruolo di regione economicamente dinamica e diversificata. All’estremo opposto, regioni come Umbria e Marche mostrano valori significativamente più bassi, rispettivamente 75.309,23 euro e 77.657,35 euro per addetto, riflettendo potenziali inefficienze o una concentrazione di settori a bassa intensità di capitale. L’analisi dei rapporti tra valore aggiunto e retribuzioni offre ulteriori spunti di riflessione sulle dinamiche regionali. La Basilicata si distingue con un rapporto del 389,63%, seguita dal Lazio con il 368,19%. Questi valori elevati indicano una forte capacità delle multinazionali di generare valore rispetto agli stipendi erogati, probabilmente grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate e alla presenza di settori ad alto valore aggiunto. Al contrario, regioni come Umbria e Marche registrano i rapporti più bassi, rispettivamente 253,63% e 242,19%, evidenziando una produttività relativamente modesta rispetto al costo del lavoro. Questi dati suggeriscono la necessità di interventi volti a migliorare l’efficienza produttiva e l’attrattività economica di queste regioni. Un quadro simile emerge dall’analisi del rapporto tra valore aggiunto e costo del lavoro. Anche in questo caso, la Basilicata e il Lazio guidano la classifica con rapporti rispettivamente del 275,36% e 257,18%, consolidando il loro primato in termini di efficienza economica. Al contrario, l’Umbria e le Marche continuano a mostrare i valori più bassi, rispettivamente 177,17% e 171,73%, confermando la presenza di un divario strutturale che richiede interventi mirati per stimolare la competitività delle multinazionali presenti in queste aree. Nel complesso, l’analisi dei dati mette in evidenza una chiara polarizzazione economica tra le regioni italiane. Le regioni settentrionali, come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, insieme al Lazio, dimostrano una solida struttura economica caratterizzata da elevati livelli di produttività e capacità di generare valore aggiunto. Queste regioni beneficiano di un ecosistema favorevole agli investimenti, infrastrutture avanzate e una forza lavoro altamente qualificata. Al contrario, molte regioni del Sud, pur mostrando alcuni segnali positivi come nel caso della Basilicata, continuano a soffrire di problemi strutturali che limitano la loro capacità di attrarre multinazionali e migliorare la produttività. Un altro elemento da considerare è la specializzazione settoriale delle multinazionali presenti nelle diverse regioni. La Lombardia, ad esempio, è un polo di eccellenza per il settore manifatturiero avanzato e i servizi finanziari, mentre il Lazio è dominato da multinazionali operanti nei servizi pubblici e amministrativi, con un forte focus sulla capitale Roma. L’Emilia-Romagna si distingue per il suo ruolo di hub nel settore agroalimentare e meccanico, mentre la Basilicata, nonostante le sue dimensioni economiche limitate, beneficia della presenza di aziende multinazionali nel settore dell’automotive. Un aspetto cruciale per ridurre i divari regionali e migliorare la competitività è rappresentato dagli investimenti in infrastrutture e innovazione tecnologica. Regioni come l’Umbria e le Marche, che registrano valori relativamente bassi in tutti gli indicatori analizzati, potrebbero beneficiare di politiche volte a incentivare la digitalizzazione, l’internazionalizzazione e la formazione di una forza lavoro altamente qualificata. Al Sud, il rafforzamento delle reti di trasporto e logistica potrebbe migliorare l’attrattività delle multinazionali, contribuendo a colmare il divario con le regioni più avanzate.



Clusterizzazione con algoritmo k-Means ottimizzato con il metodo di Elbow. La clusterizzazione delle regioni italiane in tre gruppi distinti offre uno spaccato interessante sulle diversità economiche del Paese. Analizzando i risultati, emergono caratteristiche peculiari per ciascun cluster, evidenziando sia somiglianze interne che disparità significative tra i gruppi. Cluster 0 rappresenta il gruppo più numeroso, includendo ben 16 regioni, tra cui Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, e tutte le regioni del Centro-Sud, come Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Questo cluster è caratterizzato da regioni con valori medi o medio-bassi negli indicatori economici analizzati, come il valore aggiunto per unità locali e per addetti, e un rapporto relativamente modesto tra valore aggiunto e costo del lavoro. Si tratta di regioni che, pur avendo una certa rilevanza economica in settori specifici, non riescono a competere con le performance di eccellenza delle regioni più avanzate. La presenza di regioni del Nord, come Piemonte e Veneto, accanto a regioni del Sud, riflette una produttività non sufficientemente omogenea all’interno di queste aree. Il Piemonte, ad esempio, si distingue per il suo contributo significativo al valore aggiunto complessivo, ma è superato in termini di efficienza da regioni di cluster superiori. Le regioni del Sud, invece, continuano a lottare con problemi strutturali come infrastrutture inadeguate e un’economia meno diversificata. Cluster 1 include solo Lazio e Basilicata, due regioni che emergono per caratteristiche particolari, come un valore aggiunto per addetto e per retribuzioni significativamente superiori alla media. La presenza del Lazio in questo cluster è comprensibile, data la concentrazione di attività economiche ad alto valore aggiunto nella capitale, che funge da polo per servizi finanziari, amministrativi e pubblici. La Basilicata, invece, rappresenta un caso interessante: pur essendo una piccola regione del Sud, si distingue per un valore aggiunto elevato rispetto al costo del lavoro, probabilmente grazie alla presenza di settori industriali specializzati come l’automotive. Tuttavia, il numero ridotto di regioni in questo cluster suggerisce che queste peculiarità siano difficilmente replicabili altrove senza interventi mirati a sostenere lo sviluppo di settori di eccellenza. Cluster 2 comprende Lombardia ed Emilia-Romagna, le due regioni economicamente più avanzate d’Italia. Entrambe dominano per il valore aggiunto totale, per unità locali e per addetti, riflettendo una struttura produttiva altamente efficiente e una forza lavoro qualificata. Queste regioni rappresentano i principali poli economici del Paese, con una diversificazione settoriale che spazia dal manifatturiero avanzato ai servizi finanziari e tecnologici. La Lombardia, in particolare, si distingue per il suo ruolo internazionale, essendo sede di molte multinazionali. L’Emilia-Romagna, invece, eccelle per il suo ecosistema imprenditoriale, particolarmente competitivo nei settori meccanico e agroalimentare. In conclusione, questa analisi evidenzia un’Italia fortemente diversificata, con regioni di eccellenza concentrate in Cluster 2, un nucleo intermedio in Cluster 1, e un Cluster 0 che racchiude gran parte del territorio nazionale, con ampi margini di miglioramento. Per ridurre i divari economici, è cruciale promuovere politiche mirate che favoriscano investimenti, innovazione e infrastrutture, soprattutto nelle regioni del Cluster 0.




Fonte: ISTAT

Link: www.istat.it 

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