lunedì 20 gennaio 2025

Il valore aggiunto nel settore della pesca e acquicoltura nell’economia italiana

 

La pesca e l’acquicoltura rappresentano due attività fondamentali per l’approvvigionamento di prodotti ittici a livello globale. La pesca consiste nella cattura di organismi acquatici selvatici, come pesci, crostacei e molluschi, prelevati da ambienti naturali, quali mari, oceani, fiumi e laghi. Questa attività, praticata sia a livello artigianale che industriale, è una delle più antiche forme di sostentamento umano e continua a svolgere un ruolo cruciale nell’alimentazione e nell’economia mondiale. L’acquicoltura, invece, si riferisce all’allevamento controllato di organismi acquatici, come pesci, molluschi, crostacei e alghe, in ambienti confinati o semi-naturali, come vasche, stagni e gabbie galleggianti. Questa pratica è emersa come risposta alla crescente domanda di prodotti ittici e alla necessità di ridurre la pressione sulle risorse naturali. L’acquicoltura consente di ottimizzare la produzione, garantendo una fornitura costante e contribuendo a migliorare la sicurezza alimentare globale. Entrambe le attività svolgono un ruolo centrale nel fornire proteine animali a miliardi di persone, ma devono affrontare sfide legate alla sostenibilità ambientale, alla gestione responsabile delle risorse e agli impatti socioeconomici, rendendo indispensabile un approccio equilibrato e innovativo per il loro sviluppo futuro. I dati fanno riferimento al periodo tra il 2014 ed il 2022.

L’analisi dei dati relativi al settore della pesca e dell’acquicoltura in milioni di euro tra il 2014 e il 2022 mette in luce un andamento piuttosto variabile, con significative fluttuazioni nel corso degli anni. Si tratta di un quadro che riflette non solo la dinamicità di un settore strettamente legato a fattori ambientali, economici e politici, ma anche le sfide che esso ha affrontato in un contesto globale di mutamenti strutturali.

Nel 2014, il valore complessivo del settore si attestava a 901,1 milioni di euro, ponendo una base di riferimento per l’analisi degli anni successivi. Il 2015 ha registrato un aumento significativo, con un incremento di 117,1 milioni di euro (+13%). Questo aumento potrebbe essere attribuibile a una serie di fattori, quali una maggiore produttività, l’adozione di tecnologie più efficienti o condizioni di mercato favorevoli, come l’aumento della domanda per i prodotti ittici sia a livello nazionale che internazionale.

Tuttavia, il 2016 ha segnato una lieve contrazione, con una riduzione di 13,8 milioni di euro (-1,36%). Questo calo, pur modesto, suggerisce l’emergere di possibili difficoltà, quali la competizione internazionale, l’aumento dei costi di produzione o limitazioni legate alle risorse naturali. Tale trend negativo è diventato più pronunciato nel 2017, quando il settore ha subito una diminuzione di 85,5 milioni di euro (-8,51%). Questo significativo calo potrebbe essere stato causato da una combinazione di fattori, tra cui condizioni climatiche avverse, crisi economiche locali o un calo della domanda per determinati prodotti ittici.

Nel 2018 si è registrato un lieve recupero, con un aumento di 11 milioni di euro (+1,2%). Sebbene questa crescita non sia stata sufficiente a compensare le perdite degli anni precedenti, rappresenta comunque un segnale positivo per il settore, indicativo di una possibile stabilizzazione. Tuttavia, questa ripresa è stata di breve durata, poiché il 2019 ha visto un ulteriore calo significativo di 119,1 milioni di euro (-12,81%). Tale flessione evidenzia la vulnerabilità del settore a fattori esterni, come la crescente concorrenza dei mercati internazionali, le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e l’introduzione di regolamentazioni più restrittive in termini di pesca sostenibile.

Il 2020 è stato l’anno più critico del periodo analizzato, con una perdita di 150,2 milioni di euro (-18,52%). Questo drastico calo coincide con l’impatto della pandemia di COVID-19, che ha sconvolto le catene di approvvigionamento globali, ridotto la domanda a causa delle restrizioni nei consumi e creato difficoltà logistiche per i produttori. La pandemia ha messo in evidenza la fragilità del settore, sottolineando l’importanza di diversificare le strategie operative e di investire in resilienza.

Il 2021 ha rappresentato un anno di ripresa, con un aumento di 88,6 milioni di euro (+13,41%). Questo rimbalzo può essere spiegato dalla graduale riapertura delle economie globali, dal ritorno alla normalità nei consumi e dall’introduzione di politiche di supporto governative volte a sostenere le imprese colpite dalla crisi. Nonostante questa ripresa, il settore non è riuscito a raggiungere i livelli pre-pandemia, suggerendo che alcuni degli effetti negativi della crisi sanitaria erano ancora in corso.

Il 2022 ha registrato un nuovo calo significativo, con una perdita di 128,2 milioni di euro (-17,11%). Questo andamento evidenzia la persistenza di problemi strutturali e congiunturali, tra cui l’aumento dei costi energetici, la crisi geopolitica globale e le sfide legate alla sostenibilità ambientale. La flessione potrebbe anche riflettere un cambiamento nelle abitudini dei consumatori, sempre più orientati verso alternative alimentari percepite come più sostenibili.

Analizzando l’intero periodo dal 2014 al 2022, emerge una perdita complessiva di 280,1 milioni di euro, pari a una variazione percentuale negativa del 68,92%. Questo risultato complessivo sottolinea le difficoltà affrontate dal settore, caratterizzato da una marcata instabilità e da un trend prevalentemente decrescente.

Le fluttuazioni nei valori annuali suggeriscono che il settore della pesca e dell’acquicoltura è fortemente influenzato da fattori esterni e interni. Tra i primi, si possono includere i cambiamenti climatici, che incidono direttamente sulla disponibilità delle risorse ittiche, e le dinamiche di mercato globale, che influenzano i prezzi e la competitività. Tra i fattori interni, invece, vanno considerati la capacità di innovazione delle imprese, il livello di sostenibilità delle pratiche adottate e l’efficacia delle politiche di regolamentazione e sostegno.

Un ulteriore elemento da considerare è l’evoluzione delle normative internazionali e nazionali in materia di pesca sostenibile. L’introduzione di quote di pesca e di restrizioni sulle catture, pur essendo fondamentali per preservare gli ecosistemi marini, può avere un impatto economico negativo a breve termine per le imprese del settore. Tuttavia, tali misure sono essenziali per garantire la sostenibilità a lungo termine, sia dal punto di vista ecologico che economico.

Infine, il ruolo dell’acquicoltura merita un’attenzione particolare. Negli ultimi anni, questo segmento ha acquisito crescente rilevanza come alternativa alla pesca tradizionale, offrendo un’opportunità per rispondere alla crescente domanda di prodotti ittici senza compromettere le risorse naturali. Tuttavia, anche l’acquicoltura deve affrontare sfide significative, tra cui l’ottimizzazione delle tecniche produttive, la gestione delle malattie e l’impatto ambientale delle attività. In conclusione, il periodo 2014-2022 evidenzia un settore caratterizzato da alti e bassi, con una tendenza complessivamente negativa. Questo andamento riflette le sfide strutturali del settore, ma anche la sua capacità di adattarsi e riprendersi, come dimostrato dalla crescita registrata in alcuni anni. Per garantire un futuro più stabile e sostenibile, è fondamentale investire in innovazione, sostenibilità e resilienza, promuovendo al contempo una collaborazione più stretta tra gli attori del settore e le istituzioni. Solo attraverso un approccio integrato sarà possibile affrontare con successo le sfide del settore e sfruttarne le opportunità.

 

Pesca e acquicoltura in milioni di euro  

Variazione assoluta

Variazione percentuale

2014

901,1

2015

1.018,20

117,10

13,00

2016

1.004,40

-13,80

-1,36

2017

918,9

-85,50

-8,51

2018

929,9

11,00

1,20

2019

810,8

-119,10

-12,81

2020

660,6

-150,20

-18,52

2021

749,2

88,60

13,41

2022

621

-128,20

-17,11

2014-2022

-280,10

68,92

 




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